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Etica Infermieristica

Appunti su etica infermieristica dalle slides
Corso

Basi Dell'Assistenza infermieristica - 2182  (040789)

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Anno accademico: 2016/2017
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3 INFERMIERISTICO • Il counselling socio-assistenziale è per definizione una relazione di aiuto attraverso la quale l'operatore promuove nell'utente la corretta individuazione di un problema o di un disagio, avvertiti prima di tutto nella relazione con il proprio contesto di appartenenza. • Il counselling è un importante strumento relazionale nell'ambito dell'attività clinica, è un intervento volontario e consapevole del personale sanitario nei processi decisionali delle persone assistite e dei familiari per il raggiungimento di un obiettivo condiviso di miglioramento dello stato di salute. • L'aiuto consiste proprio nel rendere possibile una riattivazione e riorganizzazione delle energie del paziente (cognitive, emotive, strategiche), partendo dal presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli permettono di sfruttare l'aiuto ricevuto e di farlo diventare una propria risorsa. 4 CON I PAZIENTI E I FAMILIARI La necessità (e la difficoltà) di comunicare Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una “medicina” in continuo cambiamento. • L’alta tecnologia ha portato a miglioramenti nella diagnosi della malattia e le numerose opzioni terapeutiche hanno sicuramente portato a miglioramenti nei trattamenti sia di patologie acute che di patologie croniche. • Basti pensare alle nuove prospettive date dall’utilizzo delle cellule staminali o al prolungamento della vita nei pazienti neoplastici. • Tutto questo ha portato anche ad una eccessiva fiducia nei confronti della medicina e nello stesso tempo a frequenti delusioni da parte dei pazienti o delle loro famiglie per i risultati sperati e non sempre ottenuti. • Dai tempi in cui il rapporto medico-paziente era basato sulla “fiducia”, con una sorta di dipendenza da parte del paziente nei confronti del suo medico, oggi si è venuto a creare un rapporto di tipo “paritario”, in cui il paziente è coinvolto totalmente in tutte le decisioni che lo riguardano e condivide con il medico tutte le informazioni e le decisioni inerenti la diagnosi, la prognosi e la terapia della sua patologia (consenso informato), con forti implicazioni medico-legali ed economiche. •Comunicare cattive notizie è un compito comunque difficile ecoinvolge tutti gli operatori sanitari (medici strutturati, studenti e personale non medico) e indubbiamente ha riflessi importanti sia su chi riceve tali informazioni che su chi le deve fornire. • È bene riflettere sul significato della cattiva notizia; si definisce tale una qualunque informazione che produca una modificazione in senso negativo delle aspettative presenti e future del paziente. • La reazione del paziente di fronte ad un cattiva notizia è soggettivamente molto diversa, perché dipende dalle singole esperienze di vita, dalla personalità, dalle 1 credenze religiose e dalle attitudini filosofiche, dalla forza d’animo di ciascuno e obiettivamente è difficile ricostruire l’impatto sul singolo di una notizia relativamente cattiva. • In qualsiasi ambito medico, ma soprattutto in tre aree specialistiche (ostetriciapediatria, emergenza-urgenza ed oncologia), la comunicazione di cattive notizie cliniche è un compito arduo, perché le persone sono comunque in attesa di buone notizie e spetta al sanitario dover dare all’improvviso, e con persone con le quali non ha alcuna confidenza, informazioni riguardanti la vita o la morte del paziente. Di conseguenza, spesso vi è la generale tendenza in ambito medico di dire solo una parziale verità o ad essere più ottimisti nella prognosi. • Comunicare cattive notizie produce sempre nel personale sanitario una inevitabile tristezza, un senso di colpevolezza, una tendenza all’identificazione, impotenza e frustrazione e, in questi casi, l’esperienza non migliora le conseguenze del coinvolgimento. • Il modo di reagire di fronte ad una cattiva notizia può cambiare completamente di fronte all’informazione fornita da parte del personale sanitario. • C’è chi reagisce con shock, orrore, angoscia, incredulità, diniego, accettazione stoica e tutto dipende dalle aspettative del singolo, dalle precedenti esperienze e ovviamente dalle singole personalità. • Consideriamo, per esempio, i pazienti affetti da patologia neoplastica; c’è molta difficoltà nel comunicare loro la diagnosi e non sempre questa viene adeguatamente compresa, difficoltà nel comunicare il passaggio da una terapia attiva ad una palliativa e nel giustificare la necessità di nuovi esami. • Ecco che il medico può essere visto in vari modi da “chi soffre”: un comunicatore senza esperienza, brusco e sbrigativo, benevolo ma senza tatto, distante, solo a volte partecipe ed emotivo. • I pazienti hanno dei desideri ben precisi, vorrebbero diagnosi e prognosi oneste, in un linguaggio semplice ma non troppo rude da parte di un medico, o di un intero team multidisciplinare, incoraggiante, fiducioso e sempre disponibile. • Ecco perché la comunicazione medicopaziente è spesso difficile. • Teoricamente al paziente dovrebbe essere chiesto “quante” informazioni desidera avere e l’attuale pratica del consenso informato dovrebbe essere considerata come un processo comprendente una serie di domande e risposte. •Dovremmo verificare periodicamente la nostra capacità di comunicare e non dovremmo mai dimenticare la comunicazione non verbale: un’espressione amichevole e dei modi gentili sono di aiuto in qualunque comunicazione. Basterebbe attenersi a dei semplici principi per ottenere una comunicazione ideale: ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ fissare un apposito incontro con il paziente; valutare le attitudini percettive; verificare la disponibilità del paziente a ricevere o richiedere informazioni; dare solo le notizie necessarie; valutare le sue emozioni, scegliendo la migliore strategia da utilizzare per quello stesso paziente anche in futuro. 2 psicologiche del legame attaccamento/accudimento: ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ Teoria psicobiologica dell’attaccamento (Bowlby); Teoria dei bisogni (A); Teoria del desiderio (O); Modello dell’attaccamento-accudimento. Teoria psicobiologica dell’attaccamento (Bowlby) Il bambino è sollecitato a costruire una relazione con l’adulto per ottenere una sicurezza (base sicura); il legame di attaccamento ha la funzione di: 1) garantire il benessere dell’individuo; 2) proteggere dai pericoli ambientali; 3) favorire la sopravvivenza data la vicinanza del piccolo con la madre. Secondo questa teoria le prime relazioni di attaccamento, in genere con la madre, divengono il prototipo e i modelli operativi delle successive relazioni affettive. • L’attaccamento non è dunque un processo che si esaurisce nella prima infanzia, ma caratterizza l’essere umano dalla nascita alla morte. L’adulto che ha sperimentato relazioni segnate da incostanza e scarsa comprensione appare vittima del passato e di bisogni affettivi insoddisfatti. • Gli adulti evitanti sono poco disponibili affettivamente, non sanno offrire esperienza di calda intimità poiché non l’hanno mai sperimentata. Teoria dei bisogni (A) • Nel bambino sussistono bisogni psicologici primari (es. sicurezza, protezione) importanti quanto il bisogno di nutrimento/ calore. • Vi sarebbe il bisogno primario di stare in contatto con un essere umano e di attaccarsi ad esso indipendentemente dal bisogno di nutrimento/calore fisico. Teoria del desiderio (O) •L’essere umano risentirebbe in modo più o meno traumatico di essere stato espulso dal grembo materno: costrutto psicodinamico del trauma della nascita. • Il legame simbiotico con la madre segnerebbe il vissuto dell’individuo, con l’anelito di ricostruire il rapporto totalizzante/rassicurante esperito fino al momento della nascita. Modello dell’attaccamento/accudimento È l’esigenza comune nel mondo animale, quindi nel genere umano, di instaurare/ mantenere un legame con un altro individuo, di solito di genere femminile. • Comporta l’assunzione della posizione speculare di essere accudito e di accudire qualcuno, con il duplice ruolo di accudito e di persona accudente. • Nell’età adulta i meccanismi dell’attaccamento riemergono in particolare quando 4 l’individuo avverte la propria vulnerabilità con sensazione di minaccia all’equilibrio fisico/psichico (malattia, trauma emotivo, carenza affettiva ecc.). • L’evento-malattia comporta nuovi adattamenti, una nuova identità di persona malata, modifiche obbligatorie delle abitudini di vita (es. ospedalizzazione), dipendenza in vari gradi dall’operatore che si prende cura del paziente. Tecniche di facilitazione Il professionista sanitario gestisce gli atteggiamenti regressivi del paziente verso il recupero/guarigione mediante tecniche di facilitazione. L’atteggiamento pedagogico: alcune tecniche di facilitazione • Il suggerimento: serve per indirizzare e fornire modelli di comportamento. • I rinforzi: per stimolare un soggetto ad acquisire comportamenti adattivi tramite un programma di intervento riabilitativo. • Il tutoring: sollecitare interazioni di auto-mutuo-aiuto in un gruppo di pari. • L’accoglienza empatica nella comunicazione intersoggettiva. Nella relazione di aiuto l’operatore sanitario è: ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ Strumento protesico: situazioni di riaddestramento allo svolgimento delle attività quotidiane. Fonte d’informazione: collocazione nel tempo, spazio e storia personale. Fonte di stimolazione: in presenza di inerzia, apatia, demotivazione, scarso interesse per l’ambiente circostante da parte del paziente. Capace di: prevenire/valutare/contenere sintomi comportamentali quali aggressività, agitazione psicomotoria, disinibizione che ostacolano il processo di autonomia. Capace di: prendere decisioni, proponendo alternative rispetto alle scelte stereotipate del paziente, Fonte di feed-back: se il paziente non è capace di valutare le ripercussioni sugli altri delle proprie manifestazioni verbali e comportamentali; Fonte di gratificazione/frustrazione: in un rapporto educativo in cui il paziente è riaddestrato a riacquisire la maggiore autonomia possibile. 6 INFORMATO  Il Consenso informato è il fondamento etico, giuridico, deontologico dell'atto 5  Fonti Giuridiche e Normative • Costituzione Italiana: Art. 13 comma 1 Art. 32 • Codice Civile art. 1325 • Legge 833 23/12/1978 istituzione del SSN • Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo art • Convenzione di Oviedo • Codice di Norimberga  Fonti etico – deontologiche  Codice di deontologia medica (art. 35)  Codice deontologico dell'infermiere (art. 20, 24)  Convenzione europea di bioetica (cap. 2 art. 5)  Consenso informato anche come parte integrante nel processo di gestione del rischio clinico e prevenzione degli eventi avversi  Per raccogliere un valido consenso è indispensabile che il medico abbia fornito un'esaustiva informativa.  In particolare nell’informativa è doveroso che al paziente sia esplicitato: ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ ⦁ La situazione clinica obiettiva riscontrata; La descrizione dell’intervento medico ritenuto necessario e dei rischi derivanti dalla mancata effettuazione della prestazione; Le eventuali alternative diagnostiche e/o terapeutiche; Le tecniche e i materiali impiegati; I benefici attesi; I rischi presunti; Le eventuali complicanze; I comportamenti che il paziente deve eseguire per evitare complicazioni successive all’atto medico. Tutte queste informazioni devono essere rese al paziente in modo chiaro e commisurato alla sua capacità di comprensione da intendersi in senso medico e, cioè, non solo avendo riguardo al livello intellettuale del paziente, ma anche tenendo conto del suo stato emotivo e psicologico Il consenso informato in forma scritta Nella generalità dei casi è sufficiente che informativa e consenso siano prestati in forma orale. La forma scritta diventa necessaria o perché vi è una legge dello Stato che la rende obbligatoria, o perché il Codice di Deontologia Medica la richiede in situazioni particolari. Le Leggi dello Stato che rendono necessaria la forma scritta sono le seguenti: - DPR 16/06/1977 n. 409 in materia di trapianti di organi; 7 - Legge 05/06/1990 n. 135 in materia di AIDS; - Decreto Ministeriale 15/01/1991 in materia di terapia con plasma derivati ed emoderivati; - Decreto Ministeriale 27/04/1992 in materia di sperimentazione scientifica; - Legge 12/08/1993 n. 201 in materia di prelievo ed innesto di cornea; - Legge 08/04/1998 n. 94 in materia di uso di medicinali al di fuori delle indicazioni autorizzate; - Legge 19/02/2004 n. 40 in materia di procreazione assistita. Il Codice di Deontologia Medica obbliga alla raccolta del consenso informato in forma scritta per le seguenti situazioni particolari: - Prescrizione di farmaci per indicazioni non previste dalla scheda tecnica o non ancora autorizzati al commercio, purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata ȋin pratica ricalca lǯobbligo già previsto dalla Legge 94/1998; - Prescrizione di terapie mediche non convenzionali, che possono essere attuate senza sottrarre il paziente a trattamenti scientificamente consolidati e previa acquisizione del consenso informato scritto quando si tratti di pratiche invasive o con più elevato margine di rischio, oppure quando il paziente ponga pregiudizialmente scelte ideologiche; - Prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche che, a causa delle possibili conseguenze sull’integrità fisica della persona o per il grave rischio che possono comportare per l’incolumità della persona, rendano opportuna una manifestazione documentata della volontà del paziente. Nella pratica si tratta delle ipotesi di: - Interventi chirurgici; - Procedure ad alta invasività; - Utilizzo di mezzi di contrasto; - Trattamenti con radiazioni ionizzanti; - Trattamenti che incidono sulla capacità di procreare; - Terapie con elevata incidenza di reazioni avverse; - Trattamenti psichiatrici di maggior impegno. Al di fuori di queste ipotesi, il consenso può essere raccolto in forma orale, fermo restando che se il medico ritiene, in scienza e coscienza e motivatamente, di formalizzare tale consenso con un atto scritto, gli è comunque consentito farlo. Requisiti formali del consenso informato: Il consenso informato è un atto a forma libera. Il consenso è implicito per gli atti sanitari di routine (es. prelievo venoso per esami diagnostici, ecg) E’ fortemente raccomandato che il medico, specie se ospedaliero, segnali in cartella clinica, di aver debitamente informato il paziente. IL CONSENSO INFORMATO È: • Personale: chi è titolato ad esprimere il consenso; • Informato/consapevole/completo; • Attuale: E’ importante che l’informativa e il conseguente consenso sia prossimo, dal punto di vista temporale, all’atto medico, perché uno dei requisiti del consenso è l’attualità. 8  L'Infermiere collabora, in base alle disposizioni di legge ed al proprio codice deontologico, alla corretta informazione del paziente, rilevando l'effettiva comprensione e integrando e chiarendo, ove richiesto, le procedure esposte, in relazione alle proprie specifiche competenze.  Controlla che la documentazione relativa sia presente in cartella .  Posizione di garanzia -L’infermiere è titolare ex lege di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto, e deve tendere ad assicurare, per l’intera durata del turno di lavoro, il benessere psicofisico del paziente. (Corte di appello di Milano,16/12/2005) - L’Infermiere ha l’obbligo di agire con cautela e di astenersi dall’agire e non cooperare se ritiene che il paziente non sia informato 10

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3.COUNSELLING INFERMIERISTICO
Il counselling socio-assistenziale è per definizione una relazione di aiuto attraverso
la quale l'operatore promuove nell'utente la corretta individuazione di un problema o
di un disagio, avvertiti prima di tutto nella relazione con il proprio contesto di
appartenenza.
Il counselling è un importante strumento relazionale nell'ambito dell'attività clinica, è
un intervento volontario e consapevole del personale sanitario nei processi
decisionali delle persone assistite e dei familiari per il raggiungimento di un obiettivo
condiviso di miglioramento dello stato di salute.
L'aiuto consiste proprio nel rendere possibile una riattivazione e riorganizzazione
delle energie del paziente (cognitive, emotive, strategiche), partendo dal
presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli permettono di
sfruttare l'aiuto ricevuto e di farlo diventare una propria risorsa.
4.RELAZIONE CON I PAZIENTI E I FAMILIARI
La necessità (e la difficoltà) di comunicare
Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una “medicina” in continuo cambiamento.
L’alta tecnologia ha portato a miglioramenti nella diagnosi della malattia e le
numerose opzioni terapeutiche hanno sicuramente portato a miglioramenti nei
trattamenti sia di patologie acute che di patologie croniche.
Basti pensare alle nuove prospettive date dall’utilizzo delle cellule staminali o al
prolungamento della vita nei pazienti neoplastici.
Tutto questo ha portato anche ad una eccessiva fiducia nei confronti della medicina
e nello stesso tempo a frequenti delusioni da parte dei pazienti o delle loro famiglie
per i risultati sperati e non sempre ottenuti.
Dai tempi in cui il rapporto medico-paziente era basato sulla “fiducia”, con una sorta
di dipendenza da parte del paziente nei confronti del suo medico, oggi si è venuto a
creare un rapporto di tipo “paritario”, in cui il paziente è coinvolto totalmente in tutte
le decisioni che lo riguardano e condivide con il medico tutte le informazioni e le
decisioni inerenti la diagnosi, la prognosi e la terapia della sua patologia (consenso
informato), con forti implicazioni medico-legali ed economiche.
•Comunicare cattive notizie è un compito comunque difficile ecoinvolge tutti gli
operatori sanitari (medici strutturati, studenti e personale non medico) e
indubbiamente ha riflessi importanti sia su chi riceve tali informazioni che su chi le
deve fornire.
È bene riflettere sul significato della cattiva notizia; si definisce tale una qualunque
informazione che produca una modificazione in senso negativo delle aspettative
presenti e future del paziente.
La reazione del paziente di fronte ad un cattiva notizia è soggettivamente molto
diversa, perché dipende dalle singole esperienze di vita, dalla personalità, dalle
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